Regale, elegantissimo, adatto a più occasioni e dotato di una storia secolare; il cappotto Loden è, senza dubbio, uno dei capi più iconici mai realizzati, capace di attrarre ancora oggi fashion lovers e consumatori occasionali, complice un colore diventato leggenda (inserito nel celebre range del pantone) e una potenza catalizzatrice in grado di mutare nel corso del tempo. Con il passare dei secoli infatti l’abito ha anche mutato la sua funzione, passando da indumento da caccia a simbolo assoluto del genderless. Ripercorriamone origini e percorso.

storia cappotto loden | Life&People Magazine

L’origine del Loden 

La parola “Loden” deriva proprio dal tessuto di lana tipico della zona del Tirolo: l’origine etimologica non è certa. Per alcuni infatti può significare semplicemente “lodo”, che in tedesco arcaico significa “ballo di lana”,  per altri invece “tessuto grezzo”. Effettivamente fin dai tempi del medioevo  il tessuto veniva garzato e infeltrito per garantire impermeabilità e morbidezza, caratteristiche rimaste intatte ancora oggi. Andando a fondo, l’unica differenza sostanziale tra i Loden medievali e quelli successivi risiedeva semplicemente nel colore.

storia cappotto loden | Life&People MagazineLe tonalità erano infatti perlopiù riconducibili ai grigi, ovvero dal colore “naturale” scaturito dalla tosatura delle pecore tirolesi. L’iconico colore verde – oggi addirittura inserito nel codice Pantone alla voce 18-0422 TCX –Loden Green – entrerà in gioco soltanto nel XIX Secolo, quindi nel 1800: sarà proprio in questo periodo che l’abito entrerà effettivamente nella storia della moda, complice la grande intuizione della Fabbrica Moessmer, la quale ha avuto il merito di confezionare un Loden bianco per l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria che, innamorandosene, iniziò ad utilizzare il tessuto per le battute di caccia della nobiltà. Proprio da qui risale quindi il colore verde, perfetto per mimetizzarsi e confondersi con la vegetazione: sarà l’inizio di un successo leggendario.

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Il Loden conquista tutti

Nel corso della storia tutti ameranno e indosseranno il Loden: dalla monarchia britannica ai più grandi divi del cinema (pensiamo soprattutto a Brigitte Bardot, attrice che ha contribuito in modo attivo all’iconicità del modello) passando per intellettuali, borghesi e personalità d’alto profilo, tutti rapiti dalla grande flessibilità del cappotto, adatto ad ogni circostanza ed evenienza e capace di spalmarsi con estrema naturalezza in generi e contesti diversi.  Il modello più riconoscibile tra tutti è senza dubbio l’Huberts, tipico per la sua linea lunga fino al ginocchio, per la piega sulla schiena e per il suo colletto lineare e semplice con i bottoni in corno di cervo. Il soprabito, come spesso capita con gli abiti di grande impatto, subisce diverse modifiche, soprattutto negli anni Settanta, diventando un capo-simbolo della classe più altolocata che, proprio grazie al Loden, può sfoggiare con orgoglio il fatto di appartenere a un determinato tipo di società, impegnata e attenta anche alla politica.

storia cappotto loden | Life&People MagazineLa linearità e il rigore dei modelli ancora oggi in uso appaiono tra l’altro diametralmente opposti rispetto a quanto ci racconta l’iconografia storica. Ai tempi della Principessa Sissi infatti il capo veniva impreziosito da innesti più vezzosi, come fiocchi o vari tipi di ghirigori. Qualcosa di chiaramente straniante nella lettura odierna ma che aiuta in modo sensibile a capire la trasformazione del soprabito, oggi colonna portante della genderless, dell’estetica prima di condizioni di genere.

Il Museo del Loden in Val Pusteria

La storia secolare del capotto Loden è tutta raccolta in un fascinoso Museo del Trentino Alto Adige, sito precisamente a Vandoies, nella Val Pusteria (Bolzano). Si tratta di un luogo unico al mondo che consente ai visitatori di scoprire il lungo e difficile processo di lavorazione del panno. Ancora oggi per ricavare solo cinque metri di tessuto occorrono oltre quaranta giorni di lavorazione, a cui si aggiungono ore e ore per filare la lana. Una pratica dunque antichissima ma estremamente funzionale che consente al cappotto di presentarsi sempre in condizioni perfette e ultra resistenti, chiave del successo del soprabito.

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