4 luglio 2022: si celebra il diciannovesimo anniversario della morte di Barry White, uno degli artisti più importanti della storia del soul. I numeri parlano per lui: in carriera infatti il musicista ha collezionato ben due Grammy Awards, vendendo la bellezza di oltre 100 milioni di dischi. Riviviamo la carriera del mito statunitense, scomparso nel 2003.

anniversario morte Berry White Life&People Magazine

Un’adolescenza difficile

Barry White nasce in Texas, – a Galveston -, quasi per caso da un punto di vista logistico. La madre infatti al tempo si reca al sud degli Stati Uniti per far visita ad alcuni parenti, decidendo poi di prolungare il suo soggiorno fino al parto. La sua vita però è destinata a Watts, in California, una zona molto complicata ad altissima densità criminale; un contesto brutto, in cui Barry ci si butta a capofitto durante l’adolescenza, entrando a tutti gli effetti dentro una gang, tra faide e rapine. Proprio a causa di questa influenza White fu arrestato ancora minorenne, per via di un furto di alcuni pneumatici marca Cadillac dal valore di 30.000 dollari. L’esperienza in carcere, soprattutto il lato più tragico e delicato dal punto di vista umano, lo segnerà talmente tanto da spingerlo a cambiare completamente vita.

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I primi passi nella musica

All’inizio degli anni sessanta, finito di scontare la sua pena in carcere, Barry White fonda insieme ad alcuni suoi compagni di scuola il gruppo The Upfront, per poi essere coinvolto anche in altri progetti come Atlantics e i Five Du-Tones. In queste prime battute si innamora ad ogni sfumatura del suono, entrando in confidenza con tutti gli strumenti musicali principali e innamorandosi della componente produttiva. Il primo assaggio di successo avviene appunto in qualità di produttore nel 1963 con Bob & Earl per il brano Harlem Shufffle. Sarà una di quelle occasioni spartiacque in quanto, proprio in questo contesto, White incontra il suo arrangiatore Gene Page.

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L’incontro con le Love Unlimited

Sarà proprio durante una registrazione per la Motowon Records che White, insieme a Page, conoscerà tre coriste, secondo lui perfette per controbattere un trio vocale molto in auge all’epoca, le Supremes: si tratta di Glodean Jamees (che White sposerà nel 74), la sorella Linda e Diane Taylor (la cugina). Il sodalizio porta a un grandissimo successo negli Stati Uniti. Ma nel 1974, una volta intuite le capacità, la casa discografica stessa chiede all’artista di abbandonare temporaneamente le macchine e di registrare qualcosa di suo. Una sfida che Barry accetta, confezionando “I’ve got so much to give”, un disco dal riscontro straordinario, simbolo della sua trasformazione da produttore a cantante vero e proprio. Seguiranno poi due relase di fondamentale importanza come “Stone Gon’ e, soprattutto “Can’t get enough. Il mondo è ai piedi di Barry, letteralmente stregato dalla sua incredibile voce, corposa e malleabile, suadente ed emozionale; una vera anima soul.

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La rottura con la 20th Century

Come spesso capita con le “ubriacature di successo”, qualcosa nel team di Barry White si rompe; in particolare si spezza l’ottima sintonia con la casa di discografica dell’epoca, la 20th Century. Ma nessun artista è grande senza dietro un grande gruppo, un fattore che il musicista vive sulla sua stessa pelle, non trovando più proprio quel grandissimo successo inebriante dei Settanta. Tutti gli anni Ottanta verranno quindi contrassegnati da disi sì interessanti, ma con scarsa presa in termini di vendite e di mercato.

Il successo ritrovato

Dopo dieci anni difficili e dopo la pubblicazione de “Put me in your mix” (1991), il musicista ritrova il successo “degli anni 70” nel 1994 con “The icon in love”: senza passare dal via, l’album raggiunge la vetta della classifica R&B e la ventesima posizione nell’ambitissima chart di Billboard. Il singolo di traino è “Pratice what you preach”, la hit più più importante di White dai tempi de “It’s ecstasy when you lay down next to me”.

anniversario morte Barry White Life&People MagazineIl trionfo è dettato anche dallo spirito di condivisone: all’album hanno dato infatti il loro contributo giganti come Tony Nicholas, Chuckii Booker, Jack Perry e Gerald Levert. La critica, finalmente, ritrova il White che aveva già apprezzato vent’anni prima. In tal senso il nostro riceverà anche una nomination ai Grammy Award per la categoria miglior album R&B, venendo però sconfitto dalle TLC (“CrazySexyCool”). Particolarmente apprezzato anche il capitolo successivo, “Staying power”, l’ultimo in studio del cantante contente al suo interno iconici duetti con Chaka Khan e Lisa Stansfield.

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I Grammy e la scomparsa

Decisamente significativo quanto successo a Barry White in ottica premi e riconoscimenti. Il tanto ambito Grammy, dopo svariati tentativi, arriva incredibilmente proprio grazie a “Staying power”, un’opera certamente di qualità ma non ai livelli di passaggi precedenti. Nel 2000 il californiano alzerà il grammofono d’oro per la “miglior performance vocale maschile” e per la “miglior performance vocale maschile tradizionale”. Tre anni dopo verrà però mancare, quasi all’improvviso, a causa di alcuni problemi renali dettati tra i molteplici aspetti anche dalla sua condizione fisica e dall’ipertensione. Le sue ceneri disperse in mare direttamente dalle mani del re del pop Michael Jackson. Da leggenda a leggenda.

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